domenica 18 ottobre 2009

L’inserimento dell'Unione dell'Apostolato Cattolico nella Chiesa


Grottaferrata, 29 dicembre 2005



1. Introduzione

Desidero, innanzi tutto, rivolgere a tutti i partecipanti di questa I Assemblea generale dell’Unione dell’Apostolato Cattolico, radunatasi qui a Grottaferrata nel Centro di Spiritualità San Vincenzo Pallotti, un cordiale saluto a nome di Sua Eccellenza Mons. Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, a cui volentieri mi unisco. Saluto anche i membri del Consiglio di Coordinamento Generale attuale e i Presidenti dei Consigli di Coordinamento Nazionali, che prendono parte a questo incontro con lo specifico compito di eleggere un nuovo Consiglio di Coordinamento Generale.

Il tema che mi è stato affidato: “L’inserimento dell’Unione dell’Apostolato Cattolico nella Chiesa”, è senza dubbio un argomento molto interessante sia dal punto di vista teologico che canonico. Vorrei chiarire però, sin d’ora, che l’utilizzo del termine “inserimento” può rivelarsi per certi versi equivoco, dato che l’Unione dell’Apostolato Cattolico è stata già inserita nella Chiesa con il decreto del 28 ottobre 2003, con il quale il Pontificio Consiglio per i Laici ha eretto l’Unione in associazione pubblica internazionale di fedeli. È per questo motivo che, a mio giudizio, l’espressione “inserimento” non è del tutto adeguata. Se per inserimento si volesse intendere “l’integrazione”, o “l’adattamento”all’interno delle singole Chiese particolari dei membri di associazioni e movimenti ecclesiali già riconosciuti dall’autorità competente della Chiesa, tale espressione non renderebbe giustizia a questi fedeli, che già da tempo vivono la propria fede e operano con senso di comunione nelle rispettive Chiese particolari. Ancor meno sarebbe appropriato l’ uso di questo termine se con esso si volesse indicare l’inclusione nelle Chiese particolari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo alla Chiesa, come se tali carismi fossero qualcosa di accessorio o secondario da incorporare in un insieme di per sé già completo.

Parlando di inserimento, in questa sede, ci si riferisce senza dubbio all’inserimento nella Chiesa particolare di una determinata realtà di origine carismatica, ma vorrei precisare che ciò a cui mi riferisco utilizzando questo termine è più specificamente lo spiegamento di tutte le virtù che possiede in sé un carisma al servizio dei membri del Popolo di Dio.


2. Storia dell’Unione, carisma e istituzione nella Chiesa

Vorrei offrirvi alcuni spunti di riflessione che possano esservi utili non solo per i lavori congressuali, ma anche per l’avvenire. A tal fine ritengo opportuno ritornare alle origini e all’identità dell’Unione dell’Apostolato Cattolico. Per questo mi avvarrò della bellissima biografia San Vincenzo Pallotti, romano, pubblicata nel 2004 da don Francesco Amoroso, SAC, e in particolare del capitolo 9, intitolato “Genesi e ampiezza dell’apostolato del Santo”, dedicato alla nascita dell’Unione1. Bisogna rilevare innanzi tutto che essa è, sopra ogni cosa, frutto del grande amore di San Vincenzo Pallotti verso Dio. L’apostolato del cristiano è, infatti, secondo il santo, la logica conseguenza di un intenso amore per Dio, che è al contempo amore per le anime. San Vincenzo, fortemente convinto che il cristiano abbia il dovere di cercare una profonda identificazione con Gesù Cristo, considerava l’apostolato «la continuazione dello stesso apostolato di Gesù Cristo»2.

Nel 1835 si concretizza ufficialmente una realtà che già da tempo esisteva nel cuore di San Vincenzo Pallotti. Sin dalla sua nascita, l’Unione si delinea come un’aggregazione a cui possono aderire laici, uomini e donne, sacerdoti secolari e religiosi. Significativa è, pertanto, la presenza di fedeli di questi tre stati di vita. Tra i membri della “prima ora” spicca la figura di Giacomo Salvati, un commerciante romano che, insieme alla sua famiglia, fu un fedele collaboratore di san Vincenzo nella guida delle prime opere dell’Unione. Certamente non mancò un valido sostegno anche da parte di molte donne come Maddalena Salvati, moglie di Giacomo, e sua figlia Camilla, Elisabetta Cozzoli, Elisabetta Sanna, e molte altre. Con il passare degli anni, nascono in seno all’Unione una Società di vita apostolica, oggi denominata Società dell’Apostolato Cattolico, due Istituti religiosi femminili (la Congregazione delle Suore dell’Apostolato Cattolico e la Congregazione delle Suore Missionarie dell’Apostolato Cattolico), oltreché numerose comunità destinate a fedeli laici di ogni stato di vita e condizione sociale.

Nel 2005 si celebra il 170° anniversario della fondazione dell’Unione. Senza dubbio questa ricorrenza è una preziosa opportunità per ringraziare il Signore, come pure per approfondire la missione di questa realtà ecclesiale, che ebbe inizio per ispirazione divina. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o indirettamente, hanno un’utilità ecclesiale, ordinati come sono all’edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo» (n. 799). Un carisma, pertanto, è una grazia speciale (gratia gratis data), diversa dalla grazia santificante (gratia gratum faciens), che lo Spirito Santo elargisce non solo per la santificazione di una comunità di fedeli, ma anche per il bene comune dell’intera comunità ecclesiale.

È interessante osservare che San Tommaso d’Aquino, nelle sue opere, non adopera il termine “carisma”, ma utilizza, in sua vece, l’espressione gratia gratis data, che è la grazia mediante la quale l’uomo aiuta un’altro uomo a tornare a Dio. Questa grazia non si concede per la santificazione della persona che la riceve, ma per cooperare alla santificazione degli altri (Sum. Th., I-II, q. 111, a. 1, resp.).

Nei diversi documenti del Concilio Vaticano II, di cui l’8 dicembre scorso abbiamo celebrato in modo solenne il 40º anniversario della sua conclusione, viene messa in luce l’importanza dei carismi nella strutturazione della Chiesa e nella sua missione3.

Riprendendo gli insegnamenti conciliari, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, Giovanni Paolo II ebbe a scrivere che «i carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa. Sono infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità dell’intero Corpo di Cristo: purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito» (n. 24). Questo duplice ringraziamento per i carismi, che riguarda sia coloro che li ricevono in un modo più diretto, sia tutti i membri del Popolo di Dio, è il punto di partenza del cosiddetto “inserimento” nelle Chiese particolari di quelle realtà che hanno origine da uno specifico carisma.

È certamente competenza dell’autorità ecclesiastica esaminare l’autenticità dei carismi e garantire il loro uso ordinato nella Chiesa. Questo compito si può denominare “discernimento”, o anche “accompagnamento”. In ogni caso, l’autorità della Chiesa ha sempre il grave onere di non spegnere lo Spirito, ma di vagliare ogni cosa e preservare ciò che è buono (1 Tes 5, 19.21).

In seguito al Concilio Vaticano II, e persino prima, si è scritto molto circa il rapporto esistente tra carisma e istituzione nella Chiesa. Alcuni autori ritengono che ci sia una presunta incompatibilità tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, adducendo che la spontaneità del Popolo di Dio prevale sull’istituzione, la quale invece tende a opprimere l’azione dello Spirito nella Chiesa.

Gérard Philips (1899-1972), teologo belga che partecipò attivamente all’ultimo Concilio ecumenico, scrisse nel suo trattato sulla Chiesa: «I servizi gerarchici e i doni puramente carismatici si completano reciprocamente. Quando l’esercizio del ministero si allontana troppo dallo Spirito, si affacciano minacciosi l’irrigidimento e la sterilità. Ma quando il carisma si rivolta contro l’autorità siamo sull’orlo dell’abisso, dove regna il disordine, l’illuminismo e la confusione»4. Una valutazione spassionata e obiettiva di queste parole, scritte quasi quarant’anni fa, ci rivela quanto siano vere!

Nel 1998, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger volle sottolineare che la contrapposizione dualistica tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica all’interno della Chiesa descrive in modo insufficiente la realtà stessa della Chiesa. Trattando il tema del sacramento dell’Ordine, egli affermava che il sacro ministero deve essere inteso e vissuto carismaticamente. Il sacerdote dev’essere un homo spiritualis, che si lascia trascinare dallo Spirito Santo5, e aggiungeva: «là dove il ministero sacro sia vissuto così, pneumaticamente e carismaticamente, non si dà nessun irrigidimento istituzionale: sussiste, invece, un’interiore apertura al carisma, una specie di “fiuto” per lo Spirito Santo e il suo agire. E allora anche il carisma può nuovamente riconoscere la sua propria origine nell’uomo del ministero, e si troveranno vie di feconda collaborazione nel discernimento degli spiriti»6.

Alla luce di queste parole, ritengo che il compito delle Chiese particolari nel processo di inserimento di un carisma, consista proprio nell’aiutare i propri membri, sacerdoti e laici – tenendo conto che i religiosi hanno già un carisma dato – a vivere la propria vocazione cristiana pneumaticamente, cioè in un modo aperto allo Spirito. Questa sarà sempre una sfida per tutti i carismi.

Va evidenziato che i carismi hanno bisogno di una struttura giuridica determinata. Tale struttura dovrà essere una configurazione adatta alla natura propria del carisma, che possa favorire il suo inserimento nel tessuto ecclesiale e il suo sviluppo futuro. D’altro canto, non bisogna perdere di vista che questa struttura non si identifica con il carisma stesso, ma si limita ad essere semplicemente una veste. In altre parole, il migliore vestito, nonostante sia stato confezionato su misura della persona che lo indossa, non è la persona stessa, ma si limita a vestirla. Questa è la valenza e, allo stesso tempo, il limite della missione di qualsiasi istituto giuridico nei confronti di un carisma.


3. Chiesa universale, Chiese particolari, associazioni internazionali, «communio»

Le associazioni internazionali di fedeli, sia pubbliche che private, costituiscono certamente una concreta manifestazione della dimensione universale e, al contempo, particolare della Chiesa. La mutua interiorità che esiste tra queste due dimensioni della Chiesa può essere descritta in questo modo: la presenza del “tutto” (Chiesa universale) nella “parte” (Chiesa particolare), essendo quest’ultima parte del “tutto”.

Tutte le associazioni internazionali di fedeli sono nate in seno a una determinata Chiesa particolare. Così come l’Unione è nata nella Diocesi di Roma. Nonostante questo, le realtà aggregative internazionali sono chiamate, per loro natura, a estendersi ad altre Chiese particolari come conseguenza dello spirito apostolico che anima i loro membri, spirito che è manifestazione dell’apostolicità della Chiesa. Le associazioni internazionali di fedeli sono realtà della Chiesa universale che, rivelando la dimensione internazionale della loro missione, si fanno presenti nelle singole Chiese particolari, sviluppando un’azione ecclesiale inter-diocesana.

In passato, questo tratto comune delle associazioni internazionali di fedeli è stato l’origine di alcuni contrasti con gli Ordinari diocesani. A questo proposito, bisogna riconoscere che la Chiesa ha già conosciuto nella storia situazioni simili che, peraltro, hanno coinciso con momenti di grande rinnovamento ecclesiale. Basti pensare alla cosiddetta polemica bassomedievale sorta in seno all’Università di Parigi nel XIII secolo, a cui presero parte San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura da Bagnoregio, che ebbe come protagonisti il clero secolare e gli emergenti Ordini mendicanti (francescani e domenicani). Punto nevralgico di questa polemica, i privilegi concessi dai Romani Pontefici ai religiosi appartenenti ai suddetti ordini, i quali avevano ottenuto il consenso di predicare e di confessare liberamente in tutta l’Europa7. Dopo sette secoli, questa controversia appare ai nostri occhi senz’altro superata. È da auspicare, dunque, che anche gli eventuali contrasti riguardanti l’esercizio dell’apostolato nelle Chiese particolari da parte dei membri di associazioni internazionali di fedeli vengano anch’essi superati. A tal fine, un’aiuto ci viene dalla nozione di comunione. La communio, intesa in questo caso come communio fidelium, ossia come l’unione di tutti i battezzati in ordine alla consecuzione del fine ultimo della Chiesa, si trova alla base di tutti i rapporti ecclesiali e costituisce il criterio ermeneutico per conseguire un rapporto adeguato tra unità e pluriformità nella Chiesa, aspetti centrali della comunione ecclesiale8.

La comunione nella Chiesa non è una nozione teologica astratta e, tanto meno, un luogo comune, ma trova delle applicazioni concrete nella vita della Chiesa. Nella Lettera Communionis notio, si legge: «Per una visione più completa di questo aspetto della comunione ecclesiale – unità nella diversità – è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall’autorità apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono e operano. Tale appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria, trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l’unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest’unità l’interiore diversificazione propria della comunione» (n. 16).

Le associazioni internazionali di fedeli non possono essere considerate realtà “forestiere” all’interno delle Chiese particolari, proprio perché i loro membri sono fedeli delle Chiese particolari dove vivono e operano. In quanto espressioni canoniche dei carismi, le associazioni di fedeli attualizzano il mistero della Chiesa in seno alle Chiese particolari e costituiscono «elementi al servizio della comunione tra le diverse Chiese particolari» (Lettera Communionis notio, n. 16).

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, il Servo di Dio Giovanni Paolo II sottolinea la rilevanza che ha, per il raggiungimento di questa comunione, «promuovere le varie realtà aggregative, che sia nelle forme più tradizionali, sia in quelle più nuove dei movimenti ecclesiali, continuano a dare alla Chiesa una vivacità che è dono di Dio e costituisce un’autentica “primavera dello Spirito”» (n. 46/d).


4. Unità con i Pastori, sintonia ecclesiale

La comunione nella Chiesa comporta sempre l’unità affettiva ed effettiva intorno al Vescovo diocesano, a lui compete il discernimento e l’accompagnamento dei carismi, nonché il coordinamento delle diverse forme di apostolato nella Chiesa particolare (Decr. Christus Dominus, n. 17/a). Le associazioni di fedeli devono, secondo il carisma loro proprio e le loro possibilità, collaborare ai progetti pastorali intrapresi nella Chiesa particolare. Questo non significa che tutti i membri della Chiesa particolare devono operare nello stesso ambito e nel medesimo modo. I fedeli, infatti, possono edificare la Chiesa anche vivendo un determinato carisma. Dunque, la pluralità di ministeri, di carismi e di forme di vita non ledono affatto l’unità della Chiesa particolare, al contrario, la arricchiscono.

Ritengo utile citare, a questo proposito, le parole che Papa Giovanni Paolo II scrisse nell’enciclica Redemptoris Missio circa l’inserimento dei movimenti ecclesiali nelle Chiese particolari: «Ricordo, quale novità emersa in non poche Chiese nei tempi recenti, il grande sviluppo dei “Movimenti ecclesiali”, dotati di dinamismo missionario. Quando si inseriscono con umiltà nella vita delle Chiese locali e sono accolti cordialmente da Vescovi e sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali, i Movimenti rappresentano un vero dono di Dio per la nuova evangelizzazione e per l’attività missionaria propriamente detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per ridare vigore, soprattutto tra i giovani, alla vita cristiana e all’evangelizzazione, in una visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi» (n. 72/a).
Di conseguenza, come ci insegna Giovanni Paolo II, l’inserimento di una realtà carismatica in una Chiesa particolare consiste proprio nella diffusione di quel carisma in uno spirito di umiltà. Manifestazioni di questo spirito di umiltà sono l’unione con il Vescovo diocesano; l’apprezzamento delle altre realtà presenti nella Chiesa particolare – evitando qualsiasi forma di autoreferenzialità –; lo spirito di servizio e di collaborazione con gli altri fedeli che vivono la vita cristiana secondo altri carismi o altre forme di impegno ecclesiale; etc.

Le associazioni internazionali di fedeli vengono approvate dalla Santa Sede, ma questo non significa che esse dipendono esclusivamente dal Vescovo di Roma. Bisogna tener presente che i membri di queste associazioni svolgono la loro azione nelle Chiese particolari dove hanno il proprio domicilio e, pertanto, sono sottoposte alle disposizioni emanate dall’Ordinario diocesano. Il can. 305, § 2 del Codice di Diritto Canonico stabilisce che sono soggette alla vigilanza dell’Ordinario del luogo le associazioni diocesane e le altre, cioè, quelle di ambito nazionale e internazionale, in quanto svolgono il proprio ruolo nella diocesi. Dunque, spetta agli Ordinari del luogo assicurarsi che in esse venga conservata l’integrità della fede e dei costumi e vigilare affinché non ci siano abusi nella disciplina ecclesiastica. Nell’espletamento di questo compito, l’Ordinario del luogo può visitare le associazioni a norma del diritto e degli statuti (CIC, can. 305, § 1).

Il riconoscimento di un’associazione internazionale di fedeli da parte della Santa Sede non esime i Pastori della Chiesa da un giudizio circa l’eventualità di concedere il consenso affinché tale associazione possa operare nelle rispettive Chiese particolari. A tale proposito, è necessario però tener presente che il discernimento globale sull’ecclesialità dell’associazione è già stato compiuto a livello della Chiesa universale nel momento dell’approvazione degli statuti da parte della Santa Sede.


5. L’Unione come famiglia di diversi stati di vita, «nuova evangelizzazione» e formazione

Una caratteristica particolare dell’Unione è il fatto che essa si presenta come una compagine composta dai tre stati di vita: laici, sacerdoti e religiosi. Queste diverse modalità di vita ecclesiali rispondono organicamente, in ragione del carisma che le accomuna, alla medesima missione apostolica che si prefigge l’Unione. In un suo recente discorso, il Santo Padre Benedetto XVI, rivolgendosi a un gruppo di Vescovi polacchi in visita ad limina Apostolorum, augurava «che un’armoniosa collaborazione di tutti gli stati di vita nella Chiesa (...) produca frutti di trasformazione del mondo nello spirito del Vangelo di Cristo»9.

La partecipazione allo stesso carisma dei tre stati di vita nella Chiesa presuppone altresì una chiara distinzione tra essi, in base alla natura propria di ogni stato, al fine di evitare qualsiasi confusione a discapito di ognuno di essi. In questo senso, i documenti del Concilio Vaticano II sono un preciso punto riferimento, in quanto delineano la fisionomia propria della vocazione dei laici, dei sacerdoti e dei religiosi. Anche Giovanni Paolo II, durante tutto il suo pontificato, ha chiaramente ammonito a guardarsi bene dall’assumere atteggiamenti che conducono alla “clericalizzazione” dei laici, come pure alla “secolarizzazione” dei sacerdoti e dei religiosi.

In questi primi otto mesi del suo pontificato, Benedetto XVI ci ha prospettato un grande compito: quello della trasmissione della fede, compito che al giorno d’oggi in molti paesi, anche in quelli di antica tradizione cristiana, diventa un vero e proprio primo annuncio della fede. Giovanni Paolo II chiamò questo impegno la «nuova evangelizzazione», alla quale sono chiamati tutti i cristiani.

A tal fine, i fedeli hanno bisogno di una costante e intensa formazione. Benedetto XVI ha richiamato alla necessità di uno studio approfondito, indicando come strumenti insostituibili il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato nel 1992, e il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato quest’anno. Oltre a questa formazione cristiana, la formazione specifica nel carisma dell’Unione diventa un dovere fondamentale sia per i suoi membri sia per le persone responsabili di questa formazione.


6. Maria, Regina degli Apostoli

Nella casa generalizia della Società dell’Apostolato Cattolico a Roma si trova un dipinto di Serafino Cesaretti, pittore e incisore italiano dell’ottocento. Il quadro rappresenta la Pentecoste nel cenacolo di Gerusalemme. Al centro è raffigurata la Madonna circondata dagli Apostoli inginocchiati. In primo piano, a destra, c’è San Pietro; San Giovanni è a sinistra. Accanto a Maria ci sono due donne. Tutti sono in posizione orante e sulla testa hanno una lingua di fuoco che simboleggia lo Spirito Santo che scende su di essi. Quest’opera esprime in modo molto adeguato il carisma ricevuto da San Vincenzo Pallotti, in quanto è «Maria, dopo Gesù, il più perfetto modello del vero zelo apostolico perché Ella, sebbene non fosse sacerdote, pure superò nel merito gli Apostoli, tanto che la Chiesa la saluta Regina degli Apostoli»10.

Sin dalle origini, il santo affidò l’Unione alla Regina degli Apostoli, e la mise sotto la sua protezione materna. È per questa ragione che Maria è considerata la patrona dell’Unione. All’intercessione di Colei che ha accompagnato gli Apostoli nei primi tempi della Chiesa affidiamo i frutti di questa I Assemblea generale dell’Unione, affinché accompagni sempre i suoi membri nel compito di guadagnare molte anime a Cristo.









1 Cfr. F. AMOROSO, San Vincenzo Pallotti, romano, Roma 2004, pp. 101-117.
2 OOCC, III, p. 175 (citato da F. AMOROSO, San Vincenzo Pallotti, romano, o.c., p. 105).
3 Cfr. LG, 4, 7, 12 e 30; AA, 3 e 30; PO, 9.
4 G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della Costituzione «Lumen Gentium», Milano 1993, p. 162.
5 Cfr. J. RATZINGER, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, Roma, 27-28 maggio 1998, Città del Vaticano, 1999, pp. 25-28.
6 Ibid., p. 29.
7 Cfr. Ibid., pp. 41-43. Per uno studio teologico-giuridico di questa polemica, cfr. C. TAMMARO, Appunti sulla natura e struttura del rapporto di giurisdizione tra pastore e fedeli nella tradizione evangelica e nella dottrina teologico-canonica medievale, in «Fidelium Iura», 14 (2004), pp. 161-182.
8 Cfr. SINODO DEI VESCOVI, Relazione finale Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, II, C, 1, 7-XII-1985, in «Enchiridion Vaticanum», vol. 9, n. 1801; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Communionis notio», 28-V-1992: AAS 85 (1993), pp. 838-850.
9 BENEDETTO XVI, Discorso al secondo gruppo di Vescovi della Polonia in visita «ad limina Apostolorum», in «L’Osservatore Romano», 4-XII-2005, p. 5.
10 OOCC, I, pp. 6-7 (citato da F. AMOROSO, San Vincenzo Pallotti, romano, o.c., p. 117).