domenica 30 gennaio 2011

Il dono di sé nei movimienti ecclesiali (III)


3. Alcune riflessioni di natura teologica e canonica

a) Aspetti teologici

Oltre alla presentazione della prassi del Pontificio Consiglio per i Laici per quanto concerne le diverse espressioni del dono di sé nei movimenti ecclesiali, penso che potrebbe essere utile, anche, avanzare alcune riflessioni al riguardo, senza avere la pretesa di voler essere esauriente.

La prima consiste nel constatare la vis attractiva che ha esercitato la vita consacrata (intesa qui in senso stretto, con tutto quello che suppone concretamente) nella storia della spiritualità cristiana lungo i secoli, fatto che ha comportato la convinzione generalizzata a considerarla come modello privilegiato di sequela radicale di Dio per ogni fedele desideroso di raggiungere la perfezione cristiana. Il Concilio Vaticano II è stato esplicito nel proclamare la chiamata universale alla santità nella Chiesa (LG capitolo V) . La santità, cioè la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità (LG 40), è una chiamata che Gesù ha rivolto a tutti i fedeli, senza esclusione, quando ha detto alle folle che lo seguivano: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).

Un’altra riflessione riguarda l’influsso che ha avuto, nella seconda metà del ventesimo secolo, la teologia degli stati di vita del cristiano . A questo proposito, alcuni autori hanno concesso allo stato dei consigli evangelici detti maggiori (castità, povertà e ubbidienza) un valore di archetipo per la vita cristiana, asserendo che solo questo stato può condurre alla massima perfezione cristiana. Per questi autori, esisterebbe una correlazione tra la donazione di sé nel celibato apostolico e lo stato dei consigli evangelici. Tuttavia, converrebbe tener presente che solo Cristo può essere ritenuto come unico paradigma della vita cristiana. È proprio Gesù che il cristiano deve cercare di imitare durante la sua vita con tutte le proprie forze, come Egli ci ha comandato: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11, 29). Quindi, ogni pretesa di attribuire un valore paradigmatico a uno stato di vita determinato (vita consacrata, ministero ordinato, vita laicale) andrebbe adeguatamente rivista, perché appunto «la santità non dipende dalle circostanze del proprio stato — celibe, sposato, vedovo, sacerdote — ma dalla personale corrispondenza alla grazia che viene concessa a tutti noi affinché impariamo a respingere le opere delle tenebre e a rivestirci delle armi della luce: serenità, pace, servizio abnegato e lieto all'umanità intera [Cfr Rm 13, 12]» .

In questa prospettiva, si può affermare che i fedeli laici che non hanno ricevuto una particolare chiamata dal Signore allo stato dei consigli evangelici sono persone scelte secondo un disegno divino di amore a diventare santi. A questo proposito, San Paolo scrive all’inizio della lettera agli Efesini: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità (1, 3-4)». In questa scelta eterna, risulta evidente che Dio non si è dimenticato di nessun battezzato: li chiama tutti senza alcuna esclusione.

Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa leggiamo che «Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: “Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5, 48)» (LG 40/a). Successivamente si specifica che: «tutti quelli che credono in Cristo saranno quindi ogni giorno più santificati nelle condizioni, nei doveri o circostanze che sono quelle della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose, se le ricevono con fede dalla mano del Padre celeste e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo» (LG 41/f).

La vocazione cristiana, oppure vocazione battesimale, è una vocazione alla Chiesa. La vocazione cristiana è comune perché riguarda tutti i battezzati, ma allo stesso tempo è personale perché la riceve ogni uomo concreto. La vocazione particolare, invece, è il cammino determinato tramite il quale ogni fedele deve raggiungere la santità (come laico, come consacrato, come sacerdote). Allora, in che cosa consiste la vocazione particolare dei fedeli laici? Qual’è lo specifico della loro vocazione cristiana? Consiste proprio nel tendere alla santità nella condizione e nelle circostanze della loro vita nel mondo, che può essere vissuta in modi diversi, sia nel matrimonio sia nel celibato apostolico. Il Magistero della Chiesa attribuisce un valore redentore alla santificazione dei compiti secolari svolti dal fedele cristiano. Anche nella Lumen gentium si legge: «Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici (…). Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità» (31/b).

Approfondendo ulteriormente queste considerazioni, Giovanni Paolo II insegna: «Il “mondo” diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: “Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato” (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana (…)» (ChL 15/h).

L’indole secolare costituisce, pertanto, la caratterizzazione della condizione ecclesiale dei fedeli laici nella Chiesa, ovvero il proprium della loro vocazione cristiana . Di conseguenza, i fedeli laici partecipano della vocazione comune di tutti i battezzati, ma allo stesso tempo l’indole secolare fa sì che la loro vocazione cristiana comune diventi vocazione particolare. «Il fedele laico, quindi, è un cristiano che è stato chiamato da Dio stesso, e non lasciato semplicemente nella secolarità. Questa osservazione è importante, poiché alle volte la secolarità è stata percepita come sinonimo della non-chiamata, identificandola allora con il fatto che il laico sia soltanto un battezzato. Da questo punto di vista, il laico apparirebbe come una sorta di scapolone per quanto riguarda la vocazione; vale a dire, come uno che possiede una condizione iniziale senza alcun’altro sbocco. Ovviamente, in questa percezione della realtà la secolarità appare come una espressione negativa; e da superare, cercando nel Battesimo tutto il significato positivo dei laici» .

A differenza della chiamata di Dio al sacerdozio o alla vita consacrata, che vengono segnate, l’una, da un sacramento della Chiesa e, l’altra, dal rito della professione religiosa, la laicità non comporta una chiamata del Signore a diventare laico. Quindi, nella condizione laicale il battezzato non viene inserito ulteriormente nella Chiesa come laico, giacché egli è già in quello stato. La vocazione dei fedeli laici è piuttosto una presa di coscienza graduale, e non senza l’aiuto della grazia divina, del progetto di Dio per la propria esistenza, da avverarsi nel mondo. Lo specifico della vocazione dei fedeli laici risiede nel percepire che la vita normale nel mondo, con tutte le sue vicissitudini, ha un senso nel progetto di Dio, e non è soltanto il risultato dell’esistenza naturale sulla terra. Si evince, pertanto, che non si è fedele laico per il fatto di non aver ricevuto nessuna vocazione nella Chiesa . Il Signore è un Dio vicino a tutti noi e con ognuno, senza alcuna esclusione, desidera avere un rapporto personale .

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, Giovanni Paolo II, trattando della varietà delle vocazioni nella Chiesa, scrive: «In particolare, sarà da scoprire sempre meglio la vocazione che è propria dei laici, chiamati come tali a “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG, 31) ed anche a svolgere “i compiti propri nella Chiesa e nel mondo [...] con la loro azione per l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini” (AA, 2)» (46/c).