venerdì 31 dicembre 2010

Il dono di sé nei movimienti ecclesiali (II)


Torniamo, però, un momento alla storia. I primi movimenti ecclesiali che approdarono al Pontificio Consiglio per i Laici negli anni ‘80 per richiedere un riconoscimento da parte della Santa Sede, avevano tra i propri membri sia persone coniugate, come pure gruppi di uomini e donne che si erano donati totalmente a Dio come laici nel celibato apostolico[1]. Questi ultimi vivevano secondo i consigli evangelici, intesi, non solo in senso lato, cioè come pratica spirituale in risposta alle molteplici esortazioni di Gesù Cristo, contenute nel Vangelo (LG 42/c), indirizzate al raggiungimento della perfetta carità cristiana, e dunque alla santità, alla quale tutti i fedeli, senza alcuna eccezione, sono chiamati in forza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana ricevuti (si badi, ad esempio, alle Beatitudini, all’umiltà, alla preghiera, alla vigilanza, alla pazienza, ecc.); ma anche come pratica formale, ossia assumendo tramite voti, promesse, propositi o altri vincoli[2], la triade classica dei consigli evangelici, tipica della vocazione alla vita consacrata, ossia i consigli di castità, povertà e ubbidienza (LG 43/a)[3]. È da specificare che questo nucleo di celibi e nubili non si presentava come un istituto di vita consacrata in formazione.

Alcune di queste realtà ecclesiali si erano rivolte in precedenza all’allora Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per valutare la possibilità di essere riconosciute come istituti secolari di diritto pontificio. Ma un tale riconoscimento avrebbe comportato la scissione del movimento in due diversi Istituti Secolari, uno maschile e uno femminile. Pertanto, decisero di attendere la promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico (1983), ritenendo che nel nuovo Codice si sarebbe potuta trovare una figura giuridica più confacente al loro proprio carisma. Infatti, la nuova redazione del Codice che vide la luce nel 1983, contiene una normativa aggiornata e sviluppata in materia di associazioni di fedeli (CIC cann. 298-329), un istituto canonico che – come ha dimostrato l’esperienza giuridica in questi ultimi ventisei anni – risponde in modo idoneo alle istanze di riconoscimento canonico, anche interdiocesano, dei movimenti ecclesiali[4].

Dopo uno studio approfondito, il Pontificio Consiglio per i Laici ritenne dunque possibile riconoscere come associazioni internazionali di fedeli quei movimenti ecclesiali che contavano tra i propri membri, uomini e donne che assumevano i consigli evangelici di castità, povertà e ubbidienza, ma ponendo determinate condizioni, che menzionerò più avanti. È opportuno rammentare che nell’ottobre del 1987 si celebrò il Sinodo dei Vescovi sulla vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo a vent’anni dal Concilio Vaticano II. Il documento che ne seguì fornisce alcuni importanti orientamenti sul dono di sé dei fedeli laici. Infatti, nel n. 56 dell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), Giovanni Paolo II, riferendosi alla varietà di vocazioni presenti nello stato di vita laicale, faceva sua questa proposizione dei Padri sinodali: «lo Spirito Santo suscita anche altre forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono pienamente nella vita laicale».

Per affrontare questa tematica, si tennero presso il Dicastero due consulte di esperti, una il 23 maggio 1989 e l’altra il 18 ottobre 1995. Dalle conclusioni dei lavori emerge la considerazione che in caso di assunzione dei consigli evangelici da parte di membri di movimenti ecclesiali, è opportuno parlare di “consacrazione di vita”, oppure di “vita evangelica”, ma non di “vita consacrata”, considerando che nei movimenti ecclesiali i consigli evangelici non vengono vissuti in un istituto di vita consacrata riconosciuto come tale dalla Chiesa.

Ritengo importante far qui riferimento anche all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici dal 15 al 17 novembre 1991 con i rappresentanti di dieci gruppi e comunità laicali, i cui membri – in parte o nella loro totalità – assumono i consigli evangelici[5]. Scopo dell’incontro era facilitare una reciproca conoscenza, suscitando al contempo una riflessione sulla loro identità, sul loro stile di vita e sulla loro forma di sequela di Cristo, come pure offrire spunti per ulteriori approfondimenti. Nella sintesi degli interventi dei gruppi e comunità presenti si legge: «Nel contesto della “nuova stagione aggregativa” (cfr. Christifideles Laici, 29), le nuove realtà qui rappresentate costituiscono una singolare ricchezza. La volontà, esplicitamente affermata, di essere e rimanere laici, si manifesta anche nella rinuncia ad assumere gli impegni costitutivi dello stato di vita consacrata (vincoli sacri di cui al can. 573 § 2). La vita secondo i consigli viene, quindi, intesa anzitutto come risposta immediata alla grazia battesimale e all’appello universale alla santità»[6].

Durante tutti questi anni, il Pontificio Consiglio per i Laici ha dovuto affrontare il delicato compito di discernimento di ogni movimento ecclesiale, individuando alcuni criteri guida, tra i quali, di particolare rilievo, i seguenti: i consigli evangelici vanno assunti con vincoli che abbiano sempre natura giuridica privata (nel caso dei voti, cfr. CIC can. 1192 § 1), di conseguenza, il moderatore di un movimento ecclesiale non può ricevere detti vincoli in nome della Chiesa; le persone sposate non possono assumere il consiglio evangelico di castità inteso come perfetta continenza, in quanto è incompatibile con i diritti e i doveri inerenti al sacramento del matrimonio; l’assunzione dei consigli evangelici non produce l’incorporazione all’associazione, che si realizza, invece, tramite le modalità ordinarie di ammissione a un’associazione di fedeli, modalità previste nello statuto di ogni movimento ecclesiale; i fedeli laici membri dei movimenti ecclesiali devono esercitare un lavoro professionale nel mondo, caratteristica peculiare dell’indole secolare della vocazione laicale; all’interno del movimento si deve adoperare una terminologia che sia in consonanza con lo stato di vita laicale dei membri, evitando, ad esempio, espressioni come: “capitoli”, “provinciali”, “pastori”, ecc.; i membri laici dei movimenti ecclesiali non possono indossare un abito religioso, in quanto si tratta di una manifestazione propria dello stato di vita dei religiosi (CIC can. 669) ed evidenzia il carattere escatologico della vita religiosa.

Rimanendo nell’esperienza del Pontificio Consiglio per i Laici, è da rilevare anche che esistono altri movimenti ecclesiali, a cui appartengono fedeli laici che si sono donati completamente a Dio nel celibato apostolico, senza però assumere i consigli evangelici di castità, povertà e ubbidienza. Queste persone si sono vincolate stabilmente al movimento in virtù di un atto della propria volontà, prendendo con esso l’impegno di vivere il celibato propter Regnum cœlorum in risposta a una vocazione divina, come previsto dallo statuto per una determinata categoria di membri. Personalmente, ritengo che si tratti di una modalità di donazione a Dio che merita di essere conosciuta.


[1] Cfr. J.L. GUTIÉRREZ, El laico y el celibato apostólico, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, vol. I, t. 2, Milano 1988, pp. 725-760.

[2] Cfr. B. ZADRA, I movimenti ecclesiali e i loro statuti, Tesi Gregoriana, Serie Diritto Canonico, 16, Roma 1997, pp. 130-134; IDEM, L’assunzione dei consigli evangelici negli statuti delle associazioni che prevedono la consacrazione di vita, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 12 (1999), pp. 353-362; V. DE PAOLIS, Le associazioni nate con l’intento di divenire istituti religiosi, in «Informationes SCRIS», 21/2 (1995), pp. 155-179; J.J. ECHEBERRÍA, Asunción de los consejos evangélicos en las asociaciones de fieles y movimientos eclesiales. Investigación teológico-canónica, Tesi Gregoriana, Serie Diritto Canonico, 29, Roma 1998; G. GHIRLANDA, I consigli evangelici nella vita laicale, in «Periodica», 87/4 (1998), pp. 567-589; S. RECCHI, Assunzione dei consigli evangelici e consacrazione di vita nelle associazioni, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 12 (1999), pp. 339-352; IDEM, Le associazioni di consacrati, in GRUPPO ITALIANO DOCENTI DI DIRITTO CANONICO (a cura del), La vita consacrata nella Chiesa, Milano 2006, pp. 71-81; G. FELICIANI, Quale statuto canonico per le nuove comunità?, in «Informationes SCRIS», 26/1 (2000), pp. 151-152; L. NAVARRO, New Ecclesial Movements and Charisms: Canonical Dimensions, in «Philippine Canonical Forum», 4 (2002), pp. 70-71; S.B. SÁNCHEZ CARRIÓN, Los movimientos eclesiales: status quæstionis, Romæ 2006, pp. 311-317.

[3] Cfr. J.L. ILLANES, Laicado y sacerdocio, Pamplona 2001, pp. 170-176; IDEM, Precetti e consigli, in L. MELINA – O. BONNEWIJN (a cura di), La sequela Christi: dimensione morale e spirituale dell’esperienza cristiana, Roma 2003, pp. 177-196.

[4] Cfr. M. DELGADO GALINDO, Movimenti ecclesiali, ministero petrino e apostolicità della Chiesa, Roma 2007, pp. 48-53.

[5] La documentazione di quel incontro è raccolta nel volume edito dal Pontificio Consiglio per i Laici, intitolato Testimoni della ricchezza dei doni, Laici oggi - Servizio di documentazione, n. 24, Città del Vaticano 1992.

[6] IBIDEM, pp. 88-89.

martedì 30 novembre 2010

Benedicto XVI escribe a los seminaristas acerca de los movimientos eclesiales


(Joseph Ratzinger es el primero a la izquierda del grupo. La fotografía está tomada cuando era alumno de la Escuela superior de filosofía y teología de Frisinga, durante los años 1946-1947)

En el n. 7 de la Carta del Santo Padre Benedicto XVI a los seminaristas, de 18 de octubre de 2010, el Papa menciona a los movimientos eclesiales como realidades en las que surgen vocaciones al sacerdocio ministerial. A continuación, el texto del Santo Padre:


En la actualidad, los comienzos de la vocación sacerdotal son más variados y diversos que en el pasado. Con frecuencia, se toma la decisión por el sacerdocio en el ejercicio de alguna profesión secular. A menudo, surge en las comunidades, especialmente en los movimientos, que propician un encuentro comunitario con Cristo y con su Iglesia, una experiencia espiritual y la alegría en el servicio de la fe. La decisión también madura en encuentros totalmente personales con la grandeza y la miseria del ser humano. De este modo, los candidatos al sacerdocio proceden con frecuencia de ámbitos espirituales completamente diversos. Puede que sea difícil reconocer los elementos comunes del futuro enviado y de su itinerario espiritual. Precisamente, por eso, el seminario es importante como comunidad en camino por encima de las diversas formas de espiritualidad. Los movimientos son una cosa magnífica. Sabéis bien cuánto los aprecio y quiero como don del Espíritu Santo a la Iglesia. Sin embargo, se han de valorar según su apertura a la común realidad católica, a la vida de la única y común Iglesia de Cristo, que en su diversidad es, en definitiva, una sola. El seminario es el periodo en el que uno aprende con los otros y de los otros. En la convivencia, quizás a veces difícil, debéis asimilar la generosidad y la tolerancia, no simplemente soportándoos mutuamente, sino enriqueciéndoos unos a otros, de modo que cada uno pueda aportar sus cualidades particulares al conjunto, mientras todos servís a la misma Iglesia, al mismo Señor. Ser escuela de tolerancia, más aún, de aceptarse y comprenderse en la unidad del Cuerpo de Cristo, es otro elemento importante de los a os de seminario.

giovedì 14 ottobre 2010

Intervención del Cardenal Stanisław Ryłko, Presidente del Consejo Pontificio para los Laicos



Por su actualidad e interés, publico la intervención del Cardenal Stanisław Ryłko, Presidente del Consejo Pontificio para los Laicos durante la tercera congregación general del Sínodo de los Obispos para Oriente Medio (12 de octubre de 2010)




El desafío más grande que la Iglesia tiene que afrontar hoy es la formación de un laicado maduro en la fe, consciente de su vocación y misión en la Iglesia y en el mundo. Es necesario formar identidades cristianas fuertes y convencidas, despertar la audacia de una presencia visible e incisiva de los fieles laicos en la vida pública, una presencia que obre según los principios de la doctrina social de la Iglesia.
En el ámbito de la formación del laicado se abre un vasto espacio de acción para las diócesis y las parroquias, pero también para las escuelas y las universidades católicas, llamadas a buscar los caminos y los métodos educativos que respondan cada vez más a las reales exigencias de los fieles, siguiendo las enseñanzas de la Christifideles laici, magna charta del laicado católico. En un mundo marcado por una secularización creciente, no podemos dar por supuesta la fe, ni siquiera entre los bautizados. Es necesario, por tanto, empezar por los cimientos, es decir, promover con urgencia unos itinerarios concretos para una verdadera iniciación cristiana postbautismal, teniendo en cuenta que -como escribe el Papa- “no se comienza a ser cristiano por una decisión ética o una gran idea, sino por el encuentro con un acontecimiento, con una Persona, que da un nuevo horizonte a la vida y, con ello, una orientación decisiva” (Deus caritas est nº 1).
En nuestro tiempo, uno de los grandes signos de esperanza para la Iglesia es la “nueva época asociativa de los fieles laicos” (Christifideles laici nº 29), que, después del Concilio Vaticano II, ve el nacimiento de muchos movimientos eclesiales y nuevas comunidades ¡Un verdadero don del Espíritu Santo! Estos nuevos carismas dan origen a unos itinerarios pedagógicos de extraordinaria eficacia para la formación humana y cristiana de los jóvenes y los adultos, y liberan en ellos un impresionante impulso misionero del que la Iglesia hoy siente una especial necesidad. Estas nuevas comunidades no son, obviamente, una alternativa a la parroquia, sino más bien un apoyo valioso e indispensable para su misión. Con espíritu de comunión eclesial, ayudan y animan a las comunidades cristianas a pasar de una lógica de mera conservación a una lógica misionera. El Papa Benedicto XVI, en continuidad con el siervo de Dios Juan Pablo II, no se cansa de pedir una apertura cada vez mayor de los Pastores a estas nuevas realidades eclesiales. En 2006, el Papa, al dirigirse a los obispos en visita ad limina, afirmó: “Os pido que salgáis al encuentro de los movimientos con mucho amor. Aquí y allá deben ser corregidos, incluidos en el conjunto de la parroquia o de la diócesis. Pero debemos respetar el carácter específico de sus carismas y alegrarnos de que nazcan formas de fe en las que la palabra de Dios se hace vida” (cfr. Osservatore Romano, 19 de noviembre de 2006).
Así pues, esperamos verdaderamente que las Iglesias de Oriente Medio se abran con creciente confianza a estas nuevas realidades asociativas. No debemos tener miedo de esa novedad de método y de estilo de anuncio que aportan: es una “provocación” sana que ayuda a vencer la rutina pastoral que está siempre al acecho y corre el riesgo de comprometer nuestra misión (cfr. Instrumentum laboris nº 61). El futuro de la Iglesia en esta región del mundo depende precisamente de nuestra capacidad de escuchar dócilmente lo que el Espíritu dice a la Iglesia hoy, también mediante estas nuevas realidades asociativas
.

martedì 21 settembre 2010

Benedicto XVI habla de los Movimientos Eclesiales a los Obispos de Inglaterra, Gales y Escocia


La tarde del domingo 19 de septiembre de 2010, último día del viaje apostólico del Santo Padre Benedicto XVI al Reino Unido, el Papa encontró a los Obispos de Inglaterra, Gales y Escocia en la Capilla de la Francis Martin House del Oscott College, en Birmingham. En un pasaje de su discurso hizo referencia a los Movimientos Eclesiales como instrumentos al servicio de la nueva evangelización. Estas son las palabras de Benedicto XVI:

Durante mi visita, he percibido con claridad la sed profunda que el pueblo británico tiene de la Buena Noticia de Jesucristo. Dios os ha escogido para ofrecerle el agua viva del Evangelio, animándolo a poner su esperanza, no en las vanas seducciones de este mundo, sino en las firmes promesas del mundo venidero. Al anunciar la venida del Reino, con su promesa de esperanza para los pobres y necesitados, los enfermos y ancianos, los no nacidos y los desamparados, aseguraos de presentar en su plenitud el mensaje del Evangelio que da vida, incluso aquellos elementos que ponen en tela de juicio las opiniones corrientes de la cultura actual. Como sabéis, he creado recientemente el Consejo Pontificio para la Nueva Evangelización de los países de antigua tradición cristiana, y os animo a hacer uso de sus servicios al acometer vuestras tareas. Además, muchos de los nuevos movimientos eclesiales tienen un carisma especial para la evangelización, y sé que continuaréis estudiando los medios apropiados y eficaces para que participen en la misión de la Iglesia.

domenica 29 agosto 2010

Il dono di sé nei movimenti ecclesiali (I)


Vita Consacrata, luglio/agosto 2010.



1. Introduzione



In primo luogo, mi pare necessario distinguere, a scanso di equivoci, le cosiddette nuove forme di vita consacrata dai movimenti ecclesiali, giacché è su questi ultimi che verterà questo lavoro, dato che i movimenti ecclesiali trovano nel Pontificio Consiglio per i Laici il loro Dicastero di riferimento a livello della Curia Romana. Mentre, le cosiddette nuove forme di vita consacrata, erette a tenore del can. 605 del Codice di Diritto Canonico (CIC), rientrano nell’ambito di competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica[1]. La struttura di questi enti incorpora gli elementi essenziali, teologici e canonici, propri della vita consacrata, pur non adeguandosi del tutto alle norme del CIC che riguardano gli istituti di vita consacrata. In realtà, com’è stato ribadito più volte, sarebbe più consono denominare queste realtà ecclesiali come istituti nuovi di vita consacrata, poiché fino ad oggi nella Chiesa sono state riconosciute solo due forme di vita consacrata: gli istituti religiosi e gli istituti secolari. Come si può osservare, dunque, l’attribuzione della competenza di questi nuovi enti a Dicasteri diversi della Curia Romana lascia intendere con chiarezza che sono di diversa natura ecclesiale.



Premesso questo, tenterò prima di individuare i tratti salienti della prassi del Pontificio Consiglio per i Laici in merito al dono di sé nei movimenti ecclesiali. Successivamente, proporrò alcune riflessioni teologiche e canoniche su questo argomento. Infine, cercherò di tracciare alcune conclusioni sul tema.





2. La prassi del Pontificio Consiglio per i Laici circa il dono di sé nei movimenti ecclesiali



Si può certamente affermare che il Pontificio Consiglio per i Laici è un Dicastero relativamente recente all’interno della pluricentenaria Curia Romana. Esso fu creato dal servo di Dio Papa Paolo VI, il 6 gennaio 1967 con il Motu proprio Catholicam Christi Ecclesiam[2], al fine di dare esecuzione al n. 26 del decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, che prevedeva la creazione nella Santa Sede di «uno speciale segretariato per il servizio e l’impulso dell’apostolato dei laici (…). In questo segretariato abbiano la parte loro i movimenti e le iniziative dell’apostolato dei laici esistenti in tutto il mondo e vi collaborino con i laici anche clero e religiosi».



In ossequio agli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dei papi, il Pontificio Consiglio per i Laici apprezza e incoraggia il diritto naturale di libertà associativa dei fedeli laici, riconosciuto dalla Chiesa, che trova la sua conferma nelle diverse manifestazioni dell’associazionismo laicale, sia in quelle di tipo tradizionale sia nelle molteplici espressioni di vita associata sorte con i nuovi movimenti ecclesiali. Tramite esse lo Spirito Santo feconda incessantemente la Chiesa in ordine alla santità del popolo di Dio e in vista della missione evangelizzatrice a cui tutti i fedeli sono chiamati.



All’inizio degli anni ottanta, in concomitanza con l’esordio del pontificato del servo di Dio Giovanni Paolo II, hanno cominciato a rivolgersi al Pontificio Consiglio per i Laici alcune realtà aggregative nate nell’alveo della dinamica creatasi a seguito del Concilio Vaticano II – e alcune anche prima – allo scopo di sollecitare un riconoscimento canonico a livello internazionale. Si trattava di soggetti che presentavano una fisonomia molto diversa da quella tipica delle associazioni tradizionali nella Chiesa: mi riferisco a quelle realtà ecclesiali che oggi conosciamo comunemente con il nome di “movimenti ecclesiali”.


Nel messaggio indirizzato ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, tenutosi a Roma dal 27 al 29 maggio 1998, Giovanni Paolo II scriveva: «Che cosa si intende, oggi, per “Movimento”? Il termine viene spesso riferito a realtà diverse fra loro, a volte, persino per configurazione canonica. Se, da un lato, esso non può certamente esaurire né fissare la ricchezza delle forme suscitate dalla creatività vivificante dello Spirito di Cristo, dall’altro sta però ad indicare una concreta realtà ecclesiale a partecipazione in prevalenza laicale, un itinerario di fede e di testimonianza cristiana che fonda il proprio metodo pedagogico su un carisma preciso donato alla persona del fondatore in circostanze e modi determinati»[3].



In queste parole di Giovanni Paolo II possiamo riscontrare gli elementi essenziali per la definizione di movimento ecclesiale. In primo luogo, si tratta di una realtà concreta nella Chiesa, a cui partecipano principalmente fedeli laici – nonostante possano prendervi parte anche chierici e membri di istituti di vita consacrata e società di vita apostolica –, che si fonda su un carisma originario ricevuto da un fondatore in circostanze storiche e modi determinati. Mi riferisco, infatti, a un carisma vocazionale, cioè che incita il fedele cristiano ad assumere impegni di vita che abbracciano l’intera esistenza e comportano una donazione personale a Dio. D’altro canto, i movimenti ecclesiali sono portatori di una propria pedagogia della fede che conduce i membri a un incontro personale con Cristo e, al contempo, li sprona all’apostolato.



Nel tentativo di offrire una definizione di movimento ecclesiale, l’allora cardinale Ratzinger affermava che «i movimenti nascono per lo più da una personalità carismatica guida, si configurano in comunità concrete che in forza della loro origine rivivono il Vangelo nella sua interezza e senza tentennamenti riconoscono nella Chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere»[4].



Alla luce di quanto detto, dunque, i movimenti ecclesiali si presentano al nostro sguardo come precise realtà aggregative carismatiche, essenzialmente laicali, strutturate come comunità di fedeli, con un proprio metodo pedagogico della fede che implica un impegno esistenziale da parte dei membri, in vista della realizzazione della vocazione cristiana, e sono dotati di dinamismo missionario. Sino ad oggi, la stragrande maggioranza dei movimenti ecclesiali sono stati configurati canonicamente come associazioni internazionali di fedeli e, dunque, a livello della Curia Romana rientrano nell’ambito di competenza del Pontificio Consiglio per i Laici[5]. (...)









[1] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Const. Ap. Pastor Bonus, art. 110. Tra le pubblicazioni più recenti che concernono le cosiddette nuove forme di vita consacrata, si possono citare: A. ONOFRI, FFB, Nuove forme di vita consacrata e nuove comunità, in «Vita Consacrata», 44/1-2 (2008/5-6), pp. 444-450, 530-544; L. SABBARESE, La questione dell’autorità e le nuove forme di vita consacrata, in Periodica 97/2-3 (2008/2-3), pp. 223-249, 387-422.



[2] AAS 59 (1967), pp. 25-28. Una sintesi della storia del Pontificio Consiglio per i Laici si può trovare nell’opera di N. DEL RÉ, La Curia Romana: lineamenti storico-giuridici, Città del Vaticano 1998, pp. 245-248.



[3] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, 27-V-1998, in «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», 1998, vol. XXI, t. 1, p. 1064.



[4] J. RATZINGER, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in Nuove irruzioni dello Spirito, Cinisello Balsamo 2006, p. 45.



[5] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Const. Ap. Pastor Bonus, art. 134. Per un’informazione dettagliata sui movimenti ecclesiali riconosciuti dal Pontificio Consiglio per i Laici, è utile consultare il Repertorio di Associazioni internazionali di fedeli, pubblicato nel 2004 da questo Dicastero, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

mercoledì 14 luglio 2010

Intervista concessa alla rivista della "Comunità Gesù Risorto"



1. Quando e perché è stato istituito il Pontificio Consiglio per i Laici?



Il Pontificio Consiglio per i Laici è stato istituito da Paolo VI nel gennaio del 1967, con l’intento di dar seguito a una direttiva del Concilio Vaticano II, che aveva previsto la costituzione di uno speciale segretariato per il servizio e l’impulso dell’apostolato dei fedeli laici. Quindi, si può affermare che questo Dicastero della Santa Sede è un frutto concreto di quella grande assise ecclesiale della seconda metà del secolo scorso che fu il Concilio Vaticano II, in cui la vocazione e la missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo, cioè quella di permeare di spirito evangelico le realtà temporali, è stato uno dei grandi temi trattati.




2. Qual'è il suo ruolo nell'economia della Chiesa?



Il Dicastero si mantiene fedele alla missione essenziale per la quale è stato creato: la promozione dell’apostolato dei fedeli laici, specialmente in forma associata, sia nelle espressioni tradizionali, come pure in quelle più nuove, come sono i movimenti ecclesiali e le nuove comunità. Con il passare del tempo le sue funzioni si sono ampliate. Infatti, nel 1986 Giovanni Paolo II ebbe a creare la Sezione giovani, come segno della sollecitudine della Chiesa verso la pastorale giovanile. Il Dicastero coadiuva le Chiese particolari nell’organizzazione della Giornata Mondiale della Gioventù, che è stata una vera e propria intuizione profetica di Papa Wojtyła e che ha dato alla Chiesa preziosi frutti di apostolato.


Sono presenti, inoltre, nel Dicastero la Sezione donna, per la promozione della dignità della donna e della sua missione nella società e nella Chiesa, e la Sezione Chiesa e sport, nata nel 2004 al fine di assicurare al mondo dello sport una più incisiva attenzione da parte della Santa Sede e a diffondere gli insegnamenti della Chiesa Cattolica sullo sport, affinché l'attività sportiva possa contribuire allo sviluppo integrale della persona.




3. Il Pontificio Consiglio per i Laici ha effettivamente contribuito a più stretti rapporti della Chiesa con il laicato? e con quali vantaggi?



Direi proprio di sì, ma vorrei premettere che i fedeli laici fanno parte della Chiesa a pieno titolo in ragione del sacramento del Battesimo. Anzi, essi costituiscono la percentuale più alta dei fedeli nella Chiesa! Essi sono chiamati ad annunciare il Vangelo di Gesù Cristo e a edificare la Chiesa, come soggetti corresponsabili, insieme ai chierici (vescovi, presbiteri e diaconi) e ai religiosi. Ritengo, piuttosto, che il Pontificio Consiglio per i Laici abbia contribuito in questi anni ad accrescere la consapevolezza nei fedeli laici del loro ruolo insostituibile per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini.





4. Che cosa significa e che cosa implica il riconoscimento dello status di Comunità Internazionale, conferito alle realtà laicali che lo ottengono?



Si tratta di un giudizio di ecclesialità che la Sede Apostolica formula circa la natura e i fini di una concreta realtà aggregativa laicale. L’autorità ecclesiastica (il Romano Pontefice e i vescovi diocesani) ha il diritto e il dovere di vagliare la bontà di queste realtà aggregative, con lo scopo di verificare se esse siano effettivamente validi mezzi per la santificazione dei propri aderenti, come pure per il bene comune dell’intera Chiesa. In altre parole, con il riconoscimento giuridico di questi enti si garantisce che essi costituiscono strade che, seppure nelle loro diversità, conducono alla comune meta della santità cristiana.




5. A cosa attribuisce una così grande fioritura di comunità e realtà laicali di vario genere, che oggi arricchiscono la Chiesa? Frutti del Vaticano II?



Questa grande fioritura a cui assistiamo oggi – basti pensare ai movimenti ecclesiali che sono scaturiti negli ultimi anni, non solo in Europa, ma anche in America Latina e in Asia – sono certamente frutti del Concilio Vaticano II, ma sono, innanzi tutto, conseguenza della continua azione dello Spirito Santo nella storia dell’umanità, che con la sua potenza creatrice, suscita nuovi carismi per la santificazione del popolo di Dio. Quindi, direi che si tratta della manifestazione dell’agire costante del Signore nella vita dell’uomo.


Nel suo recente viaggio in Portogallo, Benedetto XVI ebbe a dire ai vescovi portoghesi: «vi confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di “inverno della Chiesa”, lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è il Corpo vivo di Cristo».




6. Lei che è abituato a seguire i singoli casi delle comunità che chiedono il riconoscimento di Comunità Internazionale, che cosa guarda maggiormente in una realtà che si presenta per ottenerlo, al di là dei requisiti canonici dovuti?



Nel processo di discernimento di queste realtà ecclesiali è necessario considerare soprattutto i cinque criteri di ecclesialità contenuti nell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, di Giovanni Paolo II, ossia: il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, la responsabilità di confessare la fede cattolica, la testimonianza di una comunione salda e convinta con il Papa e con i vescovi, la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa e, finalmente, l’'impegno di una presenza nella società che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo.




7. Che cosa o quali aspetti l'hanno più colpita della nostra Comunità Gesù Risorto?



Vorrei sottolineare l’importante spazio che è riservato alla preghiera, personale e comunitaria, che favorisce nei membri della Comunità l’apprendimento di quell’arte della preghiera di cui ci parlava Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte. Come anche sono stato lieto di costatare che, grazie a Dio e all’impegno evangelizzatore degli aderenti alla Comunità, sono molte le persone che hanno riscoperto la fede e si sono avvicinate al Signore, cercando di vivere in pienezza la loro vita cristiana.

martedì 29 giugno 2010

I movimenti ecclesiali definiti da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI



Nel messaggio indirizzato ai partecipanti al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali, tenutosi a Roma dal 27 al 29 maggio 1998, Giovanni Paolo II scriveva: *Che cosa si intende, oggi, per AMovimento@? Il termine viene spesso riferito a realtà diverse fra loro, a volte, persino per configurazione canonica. Se, da un lato, esso non può certamente esaurire né fissare la ricchezza delle forme suscitate dalla creatività vivificante dello Spirito di Cristo, dall=altro sta però ad indicare una concreta realtà ecclesiale a partecipazione in prevalenza laicale, un itinerario di fede e di testimonianza cristiana che fonda il proprio metodo pedagogico su un carisma preciso donato alla persona del fondatore in circostanze e modi determinati+ (Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, 27-V-1998).




Nel tentativo di offrire una definizione di Movimento ecclesiale, l=allora cardinale Ratzinger affermava che *i Movimenti nascono per lo più da una personalità carismatica guida, si configurano in comunità concrete che in forza della loro origine rivivono il Vangelo nella sua interezza e senza tentennamenti riconoscono nella Chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere+ (J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in Nuove irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, Cinisello Balsamo 2006, p. 45).