domenica 29 agosto 2010

Il dono di sé nei movimenti ecclesiali (I)


Vita Consacrata, luglio/agosto 2010.



1. Introduzione



In primo luogo, mi pare necessario distinguere, a scanso di equivoci, le cosiddette nuove forme di vita consacrata dai movimenti ecclesiali, giacché è su questi ultimi che verterà questo lavoro, dato che i movimenti ecclesiali trovano nel Pontificio Consiglio per i Laici il loro Dicastero di riferimento a livello della Curia Romana. Mentre, le cosiddette nuove forme di vita consacrata, erette a tenore del can. 605 del Codice di Diritto Canonico (CIC), rientrano nell’ambito di competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica[1]. La struttura di questi enti incorpora gli elementi essenziali, teologici e canonici, propri della vita consacrata, pur non adeguandosi del tutto alle norme del CIC che riguardano gli istituti di vita consacrata. In realtà, com’è stato ribadito più volte, sarebbe più consono denominare queste realtà ecclesiali come istituti nuovi di vita consacrata, poiché fino ad oggi nella Chiesa sono state riconosciute solo due forme di vita consacrata: gli istituti religiosi e gli istituti secolari. Come si può osservare, dunque, l’attribuzione della competenza di questi nuovi enti a Dicasteri diversi della Curia Romana lascia intendere con chiarezza che sono di diversa natura ecclesiale.



Premesso questo, tenterò prima di individuare i tratti salienti della prassi del Pontificio Consiglio per i Laici in merito al dono di sé nei movimenti ecclesiali. Successivamente, proporrò alcune riflessioni teologiche e canoniche su questo argomento. Infine, cercherò di tracciare alcune conclusioni sul tema.





2. La prassi del Pontificio Consiglio per i Laici circa il dono di sé nei movimenti ecclesiali



Si può certamente affermare che il Pontificio Consiglio per i Laici è un Dicastero relativamente recente all’interno della pluricentenaria Curia Romana. Esso fu creato dal servo di Dio Papa Paolo VI, il 6 gennaio 1967 con il Motu proprio Catholicam Christi Ecclesiam[2], al fine di dare esecuzione al n. 26 del decreto conciliare sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, che prevedeva la creazione nella Santa Sede di «uno speciale segretariato per il servizio e l’impulso dell’apostolato dei laici (…). In questo segretariato abbiano la parte loro i movimenti e le iniziative dell’apostolato dei laici esistenti in tutto il mondo e vi collaborino con i laici anche clero e religiosi».



In ossequio agli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dei papi, il Pontificio Consiglio per i Laici apprezza e incoraggia il diritto naturale di libertà associativa dei fedeli laici, riconosciuto dalla Chiesa, che trova la sua conferma nelle diverse manifestazioni dell’associazionismo laicale, sia in quelle di tipo tradizionale sia nelle molteplici espressioni di vita associata sorte con i nuovi movimenti ecclesiali. Tramite esse lo Spirito Santo feconda incessantemente la Chiesa in ordine alla santità del popolo di Dio e in vista della missione evangelizzatrice a cui tutti i fedeli sono chiamati.



All’inizio degli anni ottanta, in concomitanza con l’esordio del pontificato del servo di Dio Giovanni Paolo II, hanno cominciato a rivolgersi al Pontificio Consiglio per i Laici alcune realtà aggregative nate nell’alveo della dinamica creatasi a seguito del Concilio Vaticano II – e alcune anche prima – allo scopo di sollecitare un riconoscimento canonico a livello internazionale. Si trattava di soggetti che presentavano una fisonomia molto diversa da quella tipica delle associazioni tradizionali nella Chiesa: mi riferisco a quelle realtà ecclesiali che oggi conosciamo comunemente con il nome di “movimenti ecclesiali”.


Nel messaggio indirizzato ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, tenutosi a Roma dal 27 al 29 maggio 1998, Giovanni Paolo II scriveva: «Che cosa si intende, oggi, per “Movimento”? Il termine viene spesso riferito a realtà diverse fra loro, a volte, persino per configurazione canonica. Se, da un lato, esso non può certamente esaurire né fissare la ricchezza delle forme suscitate dalla creatività vivificante dello Spirito di Cristo, dall’altro sta però ad indicare una concreta realtà ecclesiale a partecipazione in prevalenza laicale, un itinerario di fede e di testimonianza cristiana che fonda il proprio metodo pedagogico su un carisma preciso donato alla persona del fondatore in circostanze e modi determinati»[3].



In queste parole di Giovanni Paolo II possiamo riscontrare gli elementi essenziali per la definizione di movimento ecclesiale. In primo luogo, si tratta di una realtà concreta nella Chiesa, a cui partecipano principalmente fedeli laici – nonostante possano prendervi parte anche chierici e membri di istituti di vita consacrata e società di vita apostolica –, che si fonda su un carisma originario ricevuto da un fondatore in circostanze storiche e modi determinati. Mi riferisco, infatti, a un carisma vocazionale, cioè che incita il fedele cristiano ad assumere impegni di vita che abbracciano l’intera esistenza e comportano una donazione personale a Dio. D’altro canto, i movimenti ecclesiali sono portatori di una propria pedagogia della fede che conduce i membri a un incontro personale con Cristo e, al contempo, li sprona all’apostolato.



Nel tentativo di offrire una definizione di movimento ecclesiale, l’allora cardinale Ratzinger affermava che «i movimenti nascono per lo più da una personalità carismatica guida, si configurano in comunità concrete che in forza della loro origine rivivono il Vangelo nella sua interezza e senza tentennamenti riconoscono nella Chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere»[4].



Alla luce di quanto detto, dunque, i movimenti ecclesiali si presentano al nostro sguardo come precise realtà aggregative carismatiche, essenzialmente laicali, strutturate come comunità di fedeli, con un proprio metodo pedagogico della fede che implica un impegno esistenziale da parte dei membri, in vista della realizzazione della vocazione cristiana, e sono dotati di dinamismo missionario. Sino ad oggi, la stragrande maggioranza dei movimenti ecclesiali sono stati configurati canonicamente come associazioni internazionali di fedeli e, dunque, a livello della Curia Romana rientrano nell’ambito di competenza del Pontificio Consiglio per i Laici[5]. (...)









[1] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Const. Ap. Pastor Bonus, art. 110. Tra le pubblicazioni più recenti che concernono le cosiddette nuove forme di vita consacrata, si possono citare: A. ONOFRI, FFB, Nuove forme di vita consacrata e nuove comunità, in «Vita Consacrata», 44/1-2 (2008/5-6), pp. 444-450, 530-544; L. SABBARESE, La questione dell’autorità e le nuove forme di vita consacrata, in Periodica 97/2-3 (2008/2-3), pp. 223-249, 387-422.



[2] AAS 59 (1967), pp. 25-28. Una sintesi della storia del Pontificio Consiglio per i Laici si può trovare nell’opera di N. DEL RÉ, La Curia Romana: lineamenti storico-giuridici, Città del Vaticano 1998, pp. 245-248.



[3] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, 27-V-1998, in «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», 1998, vol. XXI, t. 1, p. 1064.



[4] J. RATZINGER, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in Nuove irruzioni dello Spirito, Cinisello Balsamo 2006, p. 45.



[5] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Const. Ap. Pastor Bonus, art. 134. Per un’informazione dettagliata sui movimenti ecclesiali riconosciuti dal Pontificio Consiglio per i Laici, è utile consultare il Repertorio di Associazioni internazionali di fedeli, pubblicato nel 2004 da questo Dicastero, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.