domenica 18 gennaio 2009

I laici protagonisti del rinnovamento


Intervista rilasciata alla rivista «Regina degli Apostoli», periodico trimestrale dell’Unione dell’Apostolato Cattolico (Anno LXXXIV, n. 1, Febbraio 2006)


“Concilio significa rinnovamento della vita cristiana”: con queste parole il Papa Paolo VI annunciava la “felice conclusione” del Concilio ecumenico vaticano secondo, avvenuta l’8 dicembre 1965, festa della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Nell’anno appena trascorso, la Chiesa ha celebrato il 40.mo anniversario della chiusura dell’Assise ecumenica, voluta e aperta dal Papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, con la famosa invocazione de “una novella Pentecoste”


Tra i 16 documenti approvati dai circa 2.400 Padri conciliari nei tre anni di lavori, figura il Decreto “Apostolicam actuositatem”, sull’apostolato dei laici, un tema questo che, insieme alla spiritualità della Pentecoste, è al centro del carisma “profettico” di San Vincenzo Pallotti. Ma che cosa ha portato di nuovo il Concilio, rispetto al passato, sul ruolo dei fedeli laici nella vita della Chiesa? A questa e ad altre domande, risponde il prelato spagnolo mons. Miguel Delgado Galindo, del Pontificio Consiglio per i Laici.

Il Concilio Vaticano II ha messo in luce la radicale uguaglianza dei fedeli nella Chiesa, in virtù della loro comune dignità battesimale. Tutti i fedeli, siano essi laici, chierici o religiosi, sono stati chiamati a edificare la Chiesa nei luoghi dove Dio ha voluto disporli. Di conseguenza, nella Chiesa non ci sono soggetti “attivi” e soggetti “passivi”, come talvolta si è detto in passato. Attraverso il sacramento del Battesimo, infatti, tutti senza esclusione alcuna, siamo stati chiamati da Dio alla santità e a diventare soggetti corresponsabili della missione della Chiesa. Dunque, ogni fedele edifica la Chiesa, ciascuno secondo il proprio stato: il ruolo che svolge un sacerdote diocesano è senza dubbio diverso da quello ricoperto da un religioso, da un fedele laico sposato o da un celibe. Questi due principi basilari (uguaglianza e diversità) li troviamo già formulati nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium.
Ciò che contraddistingue specificamente la vocazione e la missione dei fedeli laici è la cosiddetta “indole secolare” ossia, le molteplici manifestazioni del proprio modo di vivere nel mondo: lavoro professionale, studio, rapporti familiari e di amicizia, impegno sociale e culturale, sport, divertimento, ecc... Per usare le parole del Concilio Vaticano II, la vocazione propria dei fedeli laici è quella di «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG, 31). Questi principi conciliari sono stati oggetto di approfondimento da parte del Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, del 1988.


Con la felice intuizione che portò alla nascita dell’Unione dell’Apostolato Cattolico, San Vincenzo Pallotti fu nell’Ottocento un “profeta” chiamando i laici all’apostolato, come poi ha fatto il Vaticano II. Nelle attuali società, spesso dominate dal laicismo e dal relativismo, che cosa dovrebbe caratterizzare il laicato cattolico per una presenza veramente efficace ai fini della nuova evangelizzazione?

Direi prima di tutto che i fedeli laici dovrebbero avere una forte consapevolezza della propria dignità come battezzati, come pure del proprio ruolo naturale nella Chiesa e nel mondo. Per conseguire tale consapevolezza è necessaria un’approfondita formazione cristiana. A tal fine disponiamo di due strumenti fondamentali: il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Compendio di questo catechismo, che tutti i fedeli hanno il dovere di conoscere molto bene.
Come diceva l’allora Cardinale Ratzinger, in un mondo secolarizzato com’è il nostro, la vera difficoltà non è la scarsità dei cattolici, quanto piuttosto la loro irrilevanza nella società. In questo senso credo che debba essere di incoraggiamento l’esempio dei primi cristiani i quali, nonostante la loro esiguità numerica agli esordi della Chiesa, riuscirono a trasformare dal di dentro una società profondamente pagana come la civiltà romana. A questo proposito vorrei far riferimento a un’immagine usata da Gesù in una delle sue parabole: i fedeli laici devono essere come il lievito che fa fermentare la massa del pane. Senza dubbio in ambienti in cui la cultura predominante è ostile al cristianesimo, la testimonianza della propria fede in Cristo Gesù spinge i fedeli ad andare controcorrente, spesso anche con molta difficoltà, ma questo non deve scoraggiare, perché Dio ci è sempre vicino e il nostro lavoro missionario non è mai vano, perché Egli lo fa sempre fruttare. Per questo bisogna trovare sempre il coraggio di far conoscere la fede alle persone con cui condividiamo la nostra vita: familiari, colleghi, amici, ecc....


Secondo lo spirito del Concilio e la visione del Pallotti, lei non crede che la corresponsabilità di tutti i battezzati a ravvivare la fede e riaccendere la carità comporti oggi una riscoperta della dimensione carismatica della Chiesa accanto alla dimensione istituzionale?

Bisogna qui rilevare che i carismi comportano sempre un rinnovamento della vita ecclesiale, che non è altro che un tornare alle origini dell’avvenimento cristiano, cioè all’incontro personale con Cristo. Il carisma ricevuto da San Vincenzo Pallotti tende a far comprendere ai membri del Popolo di Dio che tutti – fedeli laici, sacerdoti secolari e religiosi – abbiamo ricevuto il mandato di essere apostoli. I documenti del Concilio Vaticano II sottolineano con forza i tratti pneumatologici della natura della Chiesa, che è essenzialmente istituzionale e carismatica al contempo. Un’adeguata comprensione dell’essere della Chiesa ci permette di constatare la reciproca complementarità tra queste due dimensioni. Per istituzione divina, nella Chiesa esistono i servizi gerarchici tra i quali il più importante è quello del ministero petrino del Vescovo della Chiesa di Roma che, come scrive il Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est citando la celebre spressione di San Ignazio di Antioquia, «presiede nella carità». Allo stesso tempo, lo Spirito Santo elargisce alla Chiesa doni carismatici, che devono essere accolti con riconoscenza e gratitudine. Senza istituzione, dunque, nella Chiesa predominerebbe il disordine e la sopraffazione, ma senza l’accettazione sincera dei carismi ci si verrebbe a trovare nell’irrigidimento spirituale, nella freddezza dei rapporti ecclesiali e, in definitiva, nell’inefficacia missionaria.


Il Concilio riconosce ai laici “il dovere e il diritto all’apostolato, con l’uso dei carismi” che lo Spirito Santo concede ai fedeli come vuole. Come si concilia questa autonomia dei laici con il ruolo dei pastori?

Il ruolo proprio dei fedeli laici si armonizza con quello dei Pastori nell’unica missione evangelizzatrice che accomuna tutti i membri della Chiesa, così come in una nave i diversi compiti dell’equipaggio sono diretti allo stesso obiettivo di giungere al porto di destinazione previsto. I fedeli laici hanno, senz’altro, il diritto di portare a compimento iniziative apostoliche, che per loro natura presentano diverse manifestazioni. Essi sono in grado di annunciare il Vangelo nei molteplici ambienti in cui operano. I Pastori, a loro volta, hanno un ruolo di capitale importanza nei confronti dei fedeli laici, poiché essi forniscono loro i mezzi che li conducono alla santità, mi riferisco in particolare ai Sacramenti e alla predicazione della parola di Dio. Per il conseguimento di questo obiettivo la Chiesa cerca di organizzarsi adeguatamente. È questa una concreta manifestazione del principio conciliare che vede il sacerdozio ministeriale ordinato a servire il sacerdozio comune dei fedeli.


Fin dagli inizi del Novecento e poi con il Vaticano II, le correnti pentecostali e carismatiche hanno portato un “risveglio spirituale” nelle Chiese cristiane. Come vede Lei il ruolo dei movimenti laicali e delle nuova comunità nella Chiesa di oggi e del futuro?

Non c’è dubbio che il movimento pentecostale moderno, nelle sue diverse espressioni, ha avuto un grande influsso in ambito protestante e ha contribuito al rinnovamento interiore di diverse Comunità ecclesiali. Per quanto riguarda più precisamente i movimenti ecclesiali e le nuove comunità nella Chiesa Cattolica, mi sembra opportuno ricordare che Giovani Paolo II, a diverse riprese e in diversi modi, ebbe a dire che essi costituiscono veri e propri doni dello Spirito Santo per la Chiesa nei nostri tempi. I movimenti ecclesiali e le nuove comunità diventano itinerari concreti in cui percorrere la comune vocazione cristiana, ricevuta con il sacramento del Battesimo, sotto la luce di un determinato carisma; contribuiscono alla formazione cristiana dei fedeli laici e alla trasmissione della fede negli ambienti in cui vivono i propri membri, ambienti caratterizzati spesso dall’allontanamento da Dio e dell’abbandono della pratica religiosa. Lo slancio missionario che li contraddistingue è radicato in una fede salda vissuta in modo gioioso e accattivante. Da essi sono scaturite innumerevoli vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. C’è da auspicarsi che questo incoraggiante panorama che contempliamo oggi progredisca nell’avvenire e possa continuare a portare molti frutti alla Chiesa.

Il Santo Padre Benedetto XVI, poco prima di finire il suo primo viaggio apostolico in Germania, in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù, diceva ai Vescovi tedeschi che la Chiesa deve valorizzare e guidare i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, affinché essi possano dare il meglio di sé nell’edificazione della comunità, cercando di evitare qualsiasi forma di ripiegamento su sé stessi e di esclusivismo. D’altro canto, il Papa ebbe a incoraggiare le Chiese locali a riconoscere la ricchezza che rappresentano queste realtà e a comprendere che nell’unica Chiesa di Gesù Cristo ci sono molteplici note che tutte insieme formano un’unica sinfonia della fede.

Nessun commento:

Posta un commento